Le parole di Mons. Oscar Cantoni, Vescovo di Como

Inaugurato l’XI Sinodo diocesano nella festa del Battesimo di Gesù

Cari fratelli e care sorelle, membri del popolo di Dio di questa santa Chiesa che è in Como, accorsi numerosi in questa nostra chiesa-madre, e voi tutti, Sinodali, che state per sigillare un impegno esigente di dedizione e di amore a Cristo e alla sua Chiesa, e voi, membri della vita consacrata, fratelli nel presbiterato, caro vescovo Dante*, amato figlio di questa Chiesa… (*Lafranconi – vescovo emerito di Cremona – ndr)

Penso di interpretare i sentimenti di ciascuno di voi, l’ammirato stupore e la gioiosa gratitudine per essere convocati qui, provenienti da ogni parte della nostra diocesi, all’inizio di questo “grande evento di rigenerazione” che è il nostro Sinodo, fortemente voluto dalla Santissima Trinità misericordia: “Annunciatori e testimoni della misericordia di Dio”.

Ricordiamo con affetto tutti nostri fratelli anziani e gli ammalati, che ci stanno seguendo spiritualmente con le loro preghiere e le loro sofferenze, come i nostri missionari, che hanno portato in altre regioni del mondo l’esperienza di fede vissuta nella nostra Chiesa di Como. Sono incluse nel ricordo anche le sorelle contemplative, nei nostri due monasteri di clausura.

Vorrei fare memoria innanzitutto del tempo che ci distanzia dall’ultimo Sinodo celebrato a Como e promosso da monsignor Felice Bonomini nel 1953. Da allora una vera e propria rivoluzione culturale ha cambiato il volto della nostra società e della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha promosso un radicale cambiamento di paradigma, ha cercato di aprire nuove strade, immersi come siamo in un pluralismo sociale e religioso, con cui in antecedenza il cristianesimo non aveva mai avuto la possibilità di confrontarsi.

Non possiamo nemmeno far passare sotto silenzio il tentativo, poi sfumato, di celebrare un nuovo Sinodo nel 2002, durante l’episcopato di monsignor Alessandro Maggiolini. Ricordiamo oggi con affetto e gratitudine questo grande vescovo ed Egli dal Cielo certamente intercede per noi perché offriamo il nostro contributo come un fuoco che si propaga, come un roveto ardente che può contagiare questo nostro tempo.

Ora noi tutti siamo consapevoli che con il Sinodo che oggi inauguriamo ci viene offerto dal Signore Gesù, sposo della Chiesa, un grande dono, una felice risorsa a nostra disposizione, che impegna la responsabilità di ciascuno e implica il coinvolgimento e l’adesione convinta e appassionata da parte di tutti. Abbiamo bisogno però di rivestirci innanzitutto di una “santa audacia evangelica” per fare del nostro Sinodo una pedana di lancio per proseguire avanti, in obbedienza a ciò che ci chiede il Signore e prestando una particolare attenzione ai “segni dei tempi”.

In questi mesi in cui abbiamo preparato il Sinodo già abbiamo avuto la percezione, oserei dire la conferma, di aver inaugurato un processo che continuerà anche dopo il Sinodo, poiché abbiamo lavorato secondo uno stile di sinodalità, che, per dirla con papa Francesco, «è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

La Chiesa sinodale è, innanzitutto, iniziativa dello Spirito Santo, in quanto è Lui l’attore principale del Sinodo, ma è anche il frutto della nostra comunione fraterna, meta a cui tendere costantemente, mediante le armi della pazienza, del confronto, del dialogo, della stima, del rispetto, della fiducia reciproca, della simpatia e del coraggio. Il tutto condito da una buona dose di umiltà, che permette di giungere a una esperienza diffusa e radicale della accoglienza di tutti e del perdono reciproco, senza le quali la vita della Chiesa e la sua opera pastorale si bloccherebbe.

Paul Claudel diceva che Dio fa aprire la pagina di Vangelo che più serve in un dato periodo storico. È Dio che fa comprendere quale pagina di Vangelo oggi sia da meditare particolarmente, quali principi strutturali del cristianesimo adottare nell’ ora storica che il mondo e la Chiesa oggi vivono, quali comportamenti comunionali e metodologie partecipative siano convenienti. Con la scelta della misericordia come categoria generatrice, vogliamo restituire a Dio, il cui nome è misericordia, il suo ruolo centrale di protagonista. La misericordia diventa così la parola chiave per descrivere in maniera adeguata l’agire di Dio verso di noi.

La misericordia diventa così l’architrave che sorregge la vita della Chiesa.

E noi ci siamo già messi diligentemente all’opera, non tanto per difendere noi stessi, quasi vivessimo in una cittadella assediata, o per affermare qualche superiorità sul mondo, ma per andare incontro fraternamente a tutti coloro che vivono una “sorta di eclissi del senso di Dio”, per dialogare con coraggio con quanti attraversano una profonda crisi di fede, vivendo come se Dio non esistesse. Essi ci sfidano e ci obbligano a trovare segni e linguaggi adeguati

per riproporre la misericordia divina, apparsa definitivamente in Cristo, non come un aspetto accessorio del Vangelo, ma il suo cuore pulsante.

Vogliamo essere persone capaci di parlare di Dio agli uomini del nostro tempo in un modo più comprensibile, quindi non con formule astratte e disincarnate, ma con la testimonianza della nostra vita, trasmettendo il fuoco che ci anima e la bellezza della vita cristiana. La misericordia riguarda quindi anche la dimensione pubblica, visibile, storica e strutturale della comunità dei credenti. La misericordia diventa così la parola chiave per orientare la vita, la riforma e la missione della Chiesa, la colonna portante del nostro operare.

La parola di Dio ci ha presentato oggi Gesù di Nazareth che riceve dal Padre suo l’investitura di Messia e Salvatore durante il Battesimo nelle acque del fiume Giordano, confermato dalla forza dello Spirito. Da quell’ora così importante nella vita di Gesù impariamo anche noi a comprendere quale sia la nostra relazione con Dio-Trinità e la nostra missione a servizio degli uomini del nostro tempo.

Gesù innanzitutto si mette in fila con molta umiltà per farsi battezzare da Giovanni, il quale è sconcertato per il progetto messianico con cui Gesù si presenta. Egli non è il giudice che il Battista attendeva, ma il servo del Signore, che condivide la sorte dei suoi fratelli, sentendosi uno di loro, nella fragilità e nella debolezza, pur essendo Gesù senza peccato, perché essi imparino a non disprezzare la loro umanità quale via autentica per accedere a Dio. Gesù si sottomette al piano divino che si rivela come un progetto di umiltà e di solidarietà.

Lo Spirito Santo, che discende come una colomba su Gesù, lo aiuta a comprendere come proprio attraverso la sua umanità possa vivere la sua missione di servo. Cristo riceve lo Spirito “come primizia della natura umana totalmente rinnovata” (san Cirillo di Alessandria).

Il grande servizio che Gesù compie nei confronti di tutti gli uomini, suoi fratelli, è quello di aiutarli a vivere una relazione filiale con Dio, riconoscendolo Padre e quindi a rapportarsi cordialmente con gli altri, considerati come veri fratelli e sorelle. L’amore di Dio per noi non è una parola astratta, né Dio può essere considerato un padrone o un tiranno, ma un padre amorevole e misericordioso. Sulla stessa lunghezza d’onda di Cristo, noi cristiani siamo chiamati a trasmettere l’amore misericordioso di Dio, testimoniandolo nelle nostre scelte individuali e comunitarie.

Ed ecco la voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. È Dio stesso che presenta Gesù come il figlio amato, che gli uomini dovranno seguire per poter vivere, come lui, una relazione di grande unità con Dio padre. I cristiani, proprio perché oggetto da parte di Dio padre della sua misericordia, sono chiamati a diffondere nel mondo la cultura della misericordia, così che gli uomini del nostro tempo si sentano attesi, apprezzati e amati da Dio, al di là dei loro meriti o delle loro colpe.

Con la scena evangelica del battesimo di Gesù, Dio si presenta come famiglia trinitaria, a cui tutti gli uomini potranno accedere, sperimentando un’intimità filiale, come quella di Gesù

con il Padre suo, in unità con lo Spirito Santo e insieme una ritrovata fraternità tra di loro a causa della stessa dignità di figli che essi hanno ricevuto.

Condizione indispensabile perché il nostro Sinodo sia fruttuoso sarà quella di sperimentare, personalmente e insieme, una profonda intimità con la Santissima Trinità Misericordia, così che la dimensione della Misericordia, che è l’essenza di Dio, possa essere riproposta con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale mediante un concreto esercizio di misericordia, che è sempre unico e irripetibile. Ecco, cari fratelli e sorelle, perché è importante pregare molto, ascoltare con umiltà e parlare con coraggio, discernere ed elaborare, consentendo un buon clima di vita fraterna, capacità di indossare i panni dell’altro, al di là delle semplici buone intenzioni.

L’instrumentum laboris, che vi verrà consegnato al termine della celebrazione, sarà solo il punto di partenza per quello che lo Spirito santo farà in noi se saremo attenti all’ascolto di Dio, che ci parla nella sua Parola, come anche negli eventi storici della Chiesa e del mondo, nello spessore del quotidiano, con grande disponibilità al sano mutamento e alla creatività.

Faccio mie le espressioni di Papa Francesco, che invitano tutti a camminare docilmente sotto la guida dello Spirito Santo, pronti a percepire “le sue soprese”. “Ora dobbiamo consentire allo Spirito Santo di esprimersi in questa assemblea, ha aggiunto il papa all’inizio del Sinodo sull’Amazzonia, di esprimersi con noi, attraverso di noi, di esprimersi nonostante noi, nonostante le nostre resistenze, che è normale che ci siano, perché la vita del cristiano è così “.

I nostri santi Patroni, con Maria, Madre della Misericordia e nostra Sorella, ci accompagnino con la loro intercessione e con il loro aiuto.

+ OSCAR CANTONI, Vescovo