Chiamati a infiammare il mondo con la forza e il fuoco della misericordia. Questa la sollecitazione rivolta dal Vescovo monsignor Oscar Cantoni ai 300 sinodali riuniti a Morbegno, sabato 8 febbraio, per la prima assise plenaria. «Il lavoro prosegue, stiamo entrando sempre più nel vivo del Sinodo – ha sottolineato ancora monsignor Cantoni -. Il nostro pragmatismo vorrebbe passassimo subito alla discussione, alla votazione delle proposizioni… ma è bene fermarsi a pregare, a riflettere, a discernere…». Siamo nel momento in cui è necessario «fare passi in avanti a partire dal punto in cui siamo arrivati, per compiere scelte profetiche per la nostra Diocesi». La plenaria si è aperta con un tempo ampio dedicato alla preghiera, all’adorazione eucaristica e all’intronizzazione dell’Evangeliario, momenti fondativi dell’assemblea stessa, sottolineano dalla Segreteria del Sinodo. La riflessione sul senso del discernimento comunitario è stata affidata al gesuita padre Marko Rupnik. Già nella meditazione dopo la lettura del capitolo 15 degli Atti degli Apostoli, Rupnik ha ripreso un concetto esposto in occasione dell’aggiornamento del clero dello scorso settembre: «siamo testimoni di Vangelo? La nostra vita è manifestazione di Cristo? Ci sono molte persone la cui devozione è ammirabile, ma l’applicazione dei
precetti religiosi finisce con il soffocare la vera fede. Le nostre proposte profumano di umanità? Il mondo, riesce a vedere in noi il soffio dello Spirito Santo?». Una provocazione molto forte ulteriormente approfondita nella successiva relazione dedicata proprio al significato e allo stile del discernimento comunitario. La registrazione dell’intervento di padre Rupnik, nei prossimi giorni, sarà a disposizione sia dei sinodali – per accompagnare il lavoro nei gruppi di studio territoriali
in vista della prossima plenaria del 7 marzo a Como- Sagnino – sia di tutti coloro che desiderino ascoltare la riflessione del gesuita. «Il discernimento – ha affermato
Rupnik – è il modo attraverso cui Dio parla con noi. E Dio parla a tutta la Chiesa, non parla a settori».
Per mettersi in ascolto servono due atteggiamenti fondamentali: «L’umiltà, che è lo stile di Cristo, ovvero dell’uomo che è libero da se stesso. E la consapevolezza
di essere amati, che non è una semplice sensazione di benessere, ma è sapere di essere preziosi agli occhi di qualcuno». Padre Rupnik ha poi indicato il percorso
del discernimento comunitario: «Innanzitutto avere il gusto di Dio. Poi, dopo aver riflettuto, esposto, pregato, arrivare a comprendere, a “mettere insieme” la parola
ascoltata. Il discernimento è l’arte spirituale del pregare per accogliere la volontà di Dio. Il discernimento non è un’occasione per fare discussioni, per limitarsi a contrapporre idee e progetti. Prima di incontrarsi – ecco un terzo passo – è necessario lasciare fuori dalla porta le proprie convinzioni. Il discernimento è sempre guidato dal Vescovo e chi ha il compito di coordinare i diversi gruppi (preziosa è la figura dei facilitatori – ndr) deve lasciare spazio alla libertà dell’ascolto, per raccogliere quello che la Chiesa sta dicendo e per far emergere l’argomento su cui soffia lo Spirito Santo. Non importa se la direzione presa è diversa da quella che avevamo progettato: lo abbiamo detto, serve libertà. Infine, il cammino si può prolungare fino al momento in cui si trova il punto di convergenza e se questo non arriva, allora è il Vescovo a fare sintesi». Il Sinodo e il discernimento comunitario, insomma, sono un grande esercizio di ascolto umile e disponibile: «la grazia di Dio non ci
abbandona e la fede non è un esercizio muscolare. Lo Spirito Santo ci parla sempre, ma se non siamo liberi, se già tutto è occupato da progetti e programmi, come
fa a farci sentire la sua voce? Lasciamo che lo Spirito parli, per far volare la Chiesa». E ancora, il Sinodo e il discernimento comunitario «sono un dono, sono un tempo di grazia per il Vangelo. L’importante è avere il coraggio dell’umiltà e della libertà… che sono poi due dimensioni dell’amore». Prima della suddivisione in circoli territoriali, sono intervenuti Paolo Bustaffa, a nome del Consiglio di Presidenza, per alcune precisazioni rispetto al senso della “segretezza”, che va intesa principalmente come «riservatezza, attenzione e prudenza, ma anche come occasione per vivere il Sinodo nel confronto con gli altri, con quell’audacia evangelica che permette all’uomo di cogliere il linguaggio dello Spirito Santo, per oltrepassare il bivio fra l’infinito e il nulla, nel solco delle categorie di tempo e di spazio indicate da papa Francesco nella Evangelii Gaudium». A don Stefano Cadenazzi, invece, segretario generale del Sinodo, il compito di illustrare alcuni aspetti tecnici in vista della prossima plenaria.
ENRICA LATTANZI per IL SETTIMANALE (#7 del 13/02/2020)