L'omelia del Vescovo Oscar a chiusura dell'XI Sinodo diocesano

Una conclusione, cioè un nuovo inizio!

Omelia del Vescovo Oscar Cantoni nella celebrazione eucaristica
al termine dell’XI Sinodo diocesano
Cattedrale di Como – 4 giugno 2022

Una conclusione, cioè un nuovo inizio!

Cari fratelli e sorelle, amati dal Signore,

in questo momento, solenne e lieto, di conclusione del nostro Sinodo diocesano, vi ringrazio tutti per la vostra partecipazione, in modo speciale coloro che lo hanno pazientemente elaborato, come pure tutti voi, che qui rappresentate le vostre parrocchie, associazioni, movimenti e gruppi. Rendo omaggio, per aver risposto al nostro invito, anche alle Autorità civili e militari, che prendono atto di questo grande, storico evento che ha coinvolto tutta la nostra Chiesa, ma che ha inteso essere anche un servizio alla nostra società.

Abbiamo la gioia di avere come ospiti, testimoni di questo evento, alcuni padri vescovi, rappresentanti della Chiesa che è in Lombardia, monsignor Luigi Stucchi e monsignor Giuseppe Vegezzi.

Viviamo così, insieme anche ai nostri fratelli e sorelle di altre confessioni cristiane, un vero e corale rendimento di grazie, lodando e ringraziando la santissima Trinità misericordia all’interno di questa santa assemblea, nella quale ciascuno di noi è espressione preziosa, sia per la grazia comune del Battesimo, sia per i doni propri della personale vocazione.

Ricordo con particolare gratitudine quanti hanno contribuito a rendere significative le nostre Assemblee sinodali, come pure quanti hanno offerto fatiche e sofferenze; quanti si sono uniti, durante il lungo tempo del Sinodo, mediante una costante, fervorosa preghiera, nelle parrocchie e nelle singole abitazioni; quanti hanno creduto alla fecondità della comunione dei Santi, che ci ha uniti profondamente e ci ha permesso di sperimentare una vera fraternità.

Dal cielo sono associati alla nostra preghiera alcuni nostri fratelli sinodali, che il Signore ha chiamato a sé nell’assemblea dei Santi, in questi mesi. In particolare, la nobile figura di don Renato Lanzetti, già vicario generale; il carissimo e mite padre Luigi Zucchinelli, missionario saveriano, che ha offerto la sua sofferenza per la buona riuscita del Sinodo; il giovane presbitero don Alessandro Zubiani, spesso benevolmente critico; la bella e gentile figura di laico impegnato nelle Acli, Emanuele Cantaluppi; e il diacono Roberto Bernasconi, fedele e generoso discepolo di Gesù, capace di una paziente mediazione con tutti. Essi hanno offerto, quando erano tra noi, con il loro contributo, apporti propositivi di indubbio valore, nell’intento di unire le “diverse anime” del Sinodo.

Non possiamo, però, dimenticare la lunga fila dei testimoni della fede e dell’amore, che, nei tempi recenti, hanno coronato di grazia la nostra Chiesa, divenuta, con il loro sacrificio, una Chiesa martire: suor Maria Laura Mainetti, beatificata a Chiavenna il 6 giugno 2021, quale evento centrale del Sinodo; padre Giuseppe Ambrosoli, comboniano, medico e sacerdote, che verrà beatificato il prossimo 20 novembre a Kalongo in Uganda; il futuro santo, Giovanni Battista Scalabrini, già rettore del nostro seminario e parroco di San Bartolomeo in città. Ricordiamo con ammirazione anche il fecondo sacrificio di don Renzo Beretta, parroco di Ponte Chiasso (nel 1999) e soprattutto di don Roberto Malgesini, prete degli ultimi, la cui fama continua a risuonare in tutta la Chiesa italiana e oltre i suoi confini, nel mondo (15 settembre 2020).

Interpreto la mia recente nomina a Cardinale, dono gratuito e immeritato, che mi ha molto sorpreso e di cui non sono degno, quale riconoscimento di Papa Francesco, pastore della Chiesa universale, a questa nostra amata Diocesi, che in questi anni ha tanto sofferto, irrorata dal sangue prezioso e fecondo di questi nostri fratelli ed amici.

Possiamo affermare con convinzione che in questo tempo di Sinodo abbiamo cercato di avvicinarci umilmente al mistero della santissima Trinità come essa si è rivelata tra noi: ossia come Dio, Padre di misericordia, che attraverso la sua Parola viva, ci ha dato e ci ha detto tutto nel suo Figlio, Gesù Cristo, parola fatta carne, e si è manifestata nelle nostre Assemblee sinodali e nei gruppi riuniti nelle case, mediante la luce, la forza e la consolazione dello Spirito Santo.

Abbiamo compreso una verità essenziale e troppo poco generalmente sottolineata: che la misericordia, cioè, non è ciò che Dio fa, ma chi Dio è, e, come afferma papa Francesco, è “architrave che sorregge la vita della Chiesa”, così che in essa “nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia”.

Possiamo affermare di aver vissuto insieme, in un tempo che si è protratto al di là delle nostre previsioni, a causa della pandemia da covid-19, un’autentica, intensa e feconda esperienza di Chiesa. Un periodo che ha chiesto il nostro comune e responsabile coinvolgimento, non per dovere, ma come espressione d’amore verso la nostra madre Chiesa, che di Cristo è sposa e suo corpo.

In questi mesi ci siamo proposti di impegnarci all’interno della Chiesa per ravvivare la sua bellezza, la sua vita, la sua giovinezza: solo chi ama la Chiesa può conoscerla veramente, e sempre e solo come espressione di amore possiamo contribuire a trasformarla nella sua realtà visibile, nel desiderio sincero di poter offrire a tutti la misericordia di Dio.

Ci è stata offerta, quindi, con il Sinodo, la straordinaria occasione di testimoniare la nostra fede, consapevoli delle responsabilità che, come battezzati, ci siamo assunti, per divenire immagine viva davanti al mondo, in questo periodo storico, della misericordia che il Dio trinitario desidera offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo, proprio attraverso di noi, suo popolo. Abbiamo cercato come Chiesa di riconoscere Cristo nell’umanità attuale, soprattutto tra coloro che soffrono e sono poveri, ma anche tra coloro che cercano e che anelano a dare un senso alla vita e anche tra coloro che mangiano il pane amaro della loro distanza da Dio.

La domanda fondamentale, a cui abbiamo fatto costante riferimento, lo ricordate, è stata proprio questa: come essere, dentro la nostra società, come singoli e come comunità, testimoni e annunciatori della misericordia di Dio?

Abbiamo potuto toccare con mano, infatti, come anche nei nostri contesti di vita, che pure sono frutto di antiche e solide radici cristiane, sia emersa, in verità, una lontananza da Dio e spesso anche una estraneità culturale, nelle diverse forme espressive della vita corrente: stili di vita fondati come se Dio non esistesse, o come se se ne possa farne a meno, interpretato come lontano dalla vita e dalle vicissitudini dell’uomo di oggi. Purtroppo abbiamo dovuto prendere dolorosamente atto che una delle cause dell’ateismo contemporaneo è, come già insegnava il Concilio, una insufficiente credibilità della nostra testimonianza cristiana.

Nello stesso tempo, però, abbiamo anche potuto riconoscere, con non poca sorpresa, che nel nostro ambiente, emerge una vera e propria fame di ricerca di Dio, una inquietudine e sete spirituale, il bisogno di vera fraternità, di condivisione con tutti, soprattutto con gli ultimi, una fame di vere relazioni, di solidarietà, di pace e di gioia, di cui molti nostri contemporanei sono fortemente privi. Anche nel nostro contesto umano, infatti, si sperimenta quotidianamente solitudine, anonimato, paura del futuro e tanta povertà spirituale, e non solo materiale!

Questa nostra stagione storica si rivela, allora, una felice e splendida opportunità, una occasione privilegiata perché la Chiesa sia quello che deve essere, acquisti nuova linfa e vitalità che aiuta a superare, da parte di qualcuno, uno sterile tentativo di rassegnazione. La Chiesa è infatti chiamata a diventare, “un segno vivo, una presenza semplice, ma trasparente, della misericordia di Dio, della sua tenerezza e del suo amore di Padre”, come già avevo sottolineato nella Santa Messa crismale del 2020.

Dio, infatti, continuamente cerca l’uomo e desidera ardentemente la pienezza della sua gioia.

Tutto questo, però, attraverso la testimonianza bella e gioiosa di ogni discepolo di Gesù, mediante modi e segni di novità evangelica, che ogni uomo, anche non credente o non più praticante, possa cogliere con immediatezza, dentro il vissuto ordinario di noi cristiani e delle nostre Comunità, se siamo disposti a vivere uno stile umile, che richiama all’essenziale della fede, mediante significativi gesti di carità e di speranza.

Il Sinodo, per chi lo ha inteso nel suo giusto significato, ha offerto un forte scossone per illuminare la nostra intelligenza e la nostra creatività, non tanto per rimpiangere il passato (che non ritornerà più), né per ricordare i tempi in cui le nostre chiese erano piene, anche di giovani, ma una occasione favorevole per scoprire come essere credibili oggi, a livello individuale e comunitario, nel tempo storico che stiamo attraversando, per rendere Cristo e il suo messaggio più leggibili e più vicini all’uomo contemporaneo, ai tanti lontani, che incontriamo quotidianamente nelle nostre strade, nei luoghi di lavoro e di svago.

Un tempo da guardare con simpatia e affetto (e non solo con commiserazione e giudizio!), un tempo in cui si constata sì un aumento di agnostici e di indifferenti, ma anche di veri cercatori di Dio, che richiedono espressamente Comunità attrattive, animate dallo Spirito, segno efficace della misericordia di Dio, che non ha abbandonato l’uomo, ma lo insegue proprio mediante la nostra vicinanza, una Comunità che affascina perché promuove la pienezza dell’umano con la sapienza divina, a partire dalla nostra vicinanza amica, consapevoli che solo l’amicizia evangelizza.

Non basta perciò cambiare la Chiesa all’esterno. Essa ha bisogno di chi la sappia aiutare a trasformarsi ben più in profondità, spiritualmente, con lo spirito del vangelo.

Vi ho ricordato più volte che il cristianesimo non è opera di proselitismo o di convincimento, ma di attrazione, ottenuta mediante uno stile diverso da parte di tutti, all’interno di una Chiesa sinodale, che sa rivolgersi non solo ai credenti o ai praticanti, una Chiesa che si presenta come “una scuola di saggezza cristiana”, luogo di incontro e di confronto, nell’ascolto della Parola di Dio e nella celebrazione dei Sacramenti, una Chiesa che si impegna nell’essenziale, che si fa carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli, nella condivisione delle esperienze di fede, nella ricerca di Dio, che attraverso il suo Verbo fatto carne si è “dilatato” nella sua misericordia e nella sua bontà, come ci ricorda San Bernardo.

Possiamo così affermare con piena convinzione che il nostro Sinodo è stato una vera occasione di grazia, ciò che la stessa santissima Trinità misericordia ha voluto per la nostra Chiesa di Como in questo periodo storico. Questa celebrazione non segna, perciò, una conclusione, ma avvia un nuovo inizio, un modo di ricominciare, con uno stile nuovo, animati dallo Spirito Santo, con quello stesso stile che papa Francesco denomina “la rivoluzione della misericordia, cuore pulsante del Vangelo”.

Ci può essere di aiuto e di conforto la prima lettura nella Liturgia della Parola di questa mattina, dagli Atti degli Apostoli, nel suo capitolo conclusivo, che presenta San Paolo, giunto prigioniero a Roma. Qui i cristiani sono perseguitati perché si distinguono con uno stile di vita diverso da quello del mondo pagano, un modo di vivere che non è facile e che quindi viene respinto. Rinchiuso in una casa, “agli arresti domiciliari”, San Paolo aiuta le persone che si recano da lui, non solo giudei, ma anche pagani, a incontrare Gesù vivente, ministero principe di ogni evangelizzatore.

Paolo dovrà essere giudicato dall’Imperatore, eppure la Parola e lo Spirito Santo, che egli ha ricevuto in abbondanza, lo rendono libero, senza lasciarsi intimidire dalla situazione.

La piccola Chiesa, nata a Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste con Maria, è cresciuta ed è giunta fino a Roma, allora considerata agli estremi confini della terra. Un vivo esempio per noi. Oggi, in una società molto paganeggiante, i cristiani dovrebbero avere il coraggio di essere quello che sono, per la grazia del Battesimo, cioè di Cristo, che ci fa vivere nella sfera del soprannaturale.

Abbiamo il compito di annunciare una prospettiva di speranza, di gioia e di superamento di tutte le situazioni conflittuali, di morte e di sofferenza senza speranza, che oggi affligge l’umanità.

Cristo è risorto e lo Spirito Santo è all’opera. Essi ci sospingono a vita nuova, mediante un ritorno a Lui, nella certezza dell’amore infinito di Dio Trinità misericordia.

Proclamare la misericordia, compito per il quale ci siamo impegnati attraverso il nostro Sinodo, ci deve muovere per poter superare forme di “religiosità timida”, così da avanzare oltre, a sostegno dei cuori dei nostri fratelli e sorelle, che anche inconsapevolmente, invocano pienezza di vita e salvezza.

Chiediamo di essere degni di tale annuncio e di tale missione. Dio conta su di noi!

 

Post scriptum

Invito tutti i Sinodali a ringraziare con me il Signore per il dono del Sinodo, nel santuario della Trinità Misericordia a Maccio di Villaguardia, il prossimo 17 settembre,

alle ore 10.00. In un contesto di preghiera e di riflessione cercheremo di comprendere il valore dei segni che la Trinità Misericordia ha realizzato in quel luogo santo e benedetto.

 

Testo dell’omelia del Vescovo – 4 giugno 2022